“La cura è amore, l’amore è energia”: è la filosofia di MariaGiovanna Luini, medico fino al midollo ma molto “sui generis”, che qualche mese fa ha presentato anche a Menaggio sul lago di Como il suo ultimo libro “Il grande lucernario – La lezione di Umberto Veronesi e la nuova via per la cura” (Ed. Mondadori). Un volumetto col quale è passata anche (disgraziatamente a tarda notte) dalla trasmissione di Gigi Marzullo.
La dott. Luini è medico senologo con varie specializzazioni, per molti anni a fianco del prof. Umberto Veronesi, a cui è riferito il titolo del libro: l’entusiastico epiteto con cui lo salutò una signora sua ammiratrice a un evento mondano… da allora fu una sua battuta ricorrente “Non sono un luminare, sono un lucernario!”.
Nel libro MariaGiovanna parla di sé, del rapporto con Veronesi, come le schermaglie affettuose con cui lei credente e lui agnostico parlavano dell’Aldilà e dell’incontro con Dio, come quella volta in cui il professore a un evento parlò per mezz’ora della Bibbia (che conosceva bene) e lei lo minacciò “Guardi che poi diranno che si è convertito…”; parla delle pazienti che ha incontrato e ascoltato, e della propria filosofia di vita e di lavoro.
Il suo primo maestro fu il padre Abele Gatti (Luini è il cognome del marito), medico a Calco (tra Como e Lecco), con la sua vita spesa a cercare di aiutare le persone. “Ho cercato di ragionare su ciò che per me può essere la cura, che per ognuno è un percorso individuale. La medicina tradizionale-occidentale funziona ma non basta, non siamo solo un corpo fisico e una psiche in rapporto con esso: siamo un Mistero.”
Ecco perché ‘apre’ a metodi di cura orientali, sudamericani, sciamanici ecc. che non vuole chiamare “alternativi”: “La medicina alternativa non esiste. La medicina è medicina. La parola alternativo significa che si esclude qualcos’altro. La medicina ‘integrata’ invece mette assieme, affianca sistemi di benessere. C’è chi si sente minacciato e risponde che non c’è evidenza scientifica, e c’è chi al contrario sputa sulla medicina: in mezzo ci sono i pazienti”. La dott. Luini spiega che in realtà esiste una letteratura medica sui metodi di cura non tradizionali, perfino sul reiki e sulla pranoterapia. Parla anche della forza misteriosa della preghiera, che funziona, “funziona anche se il paziente non lo sa” che si sta pregando per lui (e quindi ciò esclude l’effetto suggestione).
“La prima cura è per noi stessi. Il medico è chi ci affianca mentre cerchiamo la nostra via di cura: fa moltissimo e deve sapere moltissimo, dev’essere una persona che sa ascoltare e che dà risposte”; e i medici italiani sono bravi, escono preparati dalle Università, ma, come è emerso dal dibattito di Menaggio grazie anche alla presenza di altri medici, in ospedale sono sotto la tirannia del tempo, spesso costretti a visitare entro un tempo limite, con l’orologio in mano. Non per un mero scopo di produttività (e quindi economico), ma per dare possibilità al maggior numero di pazienti di accedere al servizio (a volte non ci pensiamo e ci limitiamo a lamentarci…).
Spiega di come la paura vada gestita dall’interlocutore, del doversi chiedere “Se fossi io questa donna qua seduta, cosa vorrei?”. E dell’abbraccio, che “racconta tante cose”.
Evidenzia anche, nel misterioso percorso verso la guarigione, l’importanza di una guarigione dell’animo: di “lasciar andare” tanti eventi negativi del passato su cui specialmente le donne continuano ad arrovellarsi (il moroso che ci ha lasciato mill’anni prima…), di saper perdonare, atteggiamento rifiutato dai pazienti perché spesso scambiato per debolezza sulla base di un “senso malato dell’orgoglio” perché chi perdona è forte e non il contrario.
Parla di “restituzione”, riconoscenza che ti spinge a donare a tua volta dopo aver ricevuto. Di non permettere che la malattia diventi tutta la nostra vita.
Ed essendo passata dieci anni fa “dall’altra parte”, quella del paziente (oncologico), raccomanda di chiedersi: “A cosa mi serve questa malattia?”.
Ognuno ha la propria risposta dentro di sé.